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PAROLA DELLA SETTIMANA : PRIMA SETTIMANA DI OTTOBRE 2022
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Inviato da Alba il 1/10/2022 8:50:00 (258 letture) |
È un male molto diffuso tra i credenti quello di considerare la fede come un atteggiamento puramente intellettuale, come la semplice accettazione di alcune verità. Cioè una fede che si traduce in una presa di posizione teorica, senza una vera incidenza sulla vita. Questo squilibrio ha come conseguenza l'esitazione davanti alle difficoltà che incontriamo ogni giorno e che sono sovente insormontabili, se noi non siamo abbastanza radicati in Dio. Le due brevi parabole del testo evangelico ricordano due proprietà della fede: l'intensità e la gratuità. Per mettere in rilievo il valore di una fede minima, ma solida, Cristo insiste sugli effetti che può produrre: cambiare di posto anche all'albero più profondamente radicato. Per insistere sulla fede come dono di Dio, porta l'esempio del servitore che pone il servizio del suo amore prima di provvedere ai suoi propri bisogni. Questo brano del Vangelo si apre con una domanda degli apostoli rivolta a Gesù: «Signore, accresci in noi la fede!». La fede è un dono di Dio per chi si apre al suo Amore, rispondendo alla sua chiamata e fidandosi delle sue promesse: della fede non si è padroni né la si può imporre agli altri, ma la si può solo accogliere con gratitudine, ben sapendo che «la fede non è di tutti». Avere fede significa aderire con tutti se stessi a Dio che ci ha amati per primo, ascoltare la «sua voce e non indurire il nostro cuore», avere una fiducia salda in Lui che non viene meno di fronte alle difficoltà anche le più grandi e di fronte alle incomprensioni più dolorose. Più volte Gesù si rivolge ad alcune persone dicendo: «La tua fede ti ha salvato!». Sforziamoci di vivere come Gesù ha vissuto.
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PAROLA DELLA SETTIMANA : PAROLA DELLA SETTIMANA
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Inviato da Alba il 24/9/2022 20:00:00 (221 letture) |
Con questa parabola Gesù ci richiama l'irreparabile eternità delle pene dell'inferno. È un discorso duro, ma viene dalle labbra di Gesù. Siamo avvertiti: non possiamo affidarci a una "misericordia" che non trovi corrispettivo nella nostra carità. Finché siamo quaggiù abbiamo tempo per compiere il bene, e in tal modo guadagnarci la felicità eterna: poi sarà troppo tardi. Gesù dà un senso anche alle sofferenze di Lazzaro: le ingiustizie terrene saranno largamente compensate nell'altra vita, l'unica che conta. Abbiamo il dovere di far conoscere a tutti, cominciando dalle persone che amiamo, la logica della giustizia divina: e questa è la forma più squisita della carità. C'è un ribaltamento tra le sorti terrene dei due uomini. Segue un dialogo tra il ricco e Abramo. In mezzo ai tormenti il primo si rivolge al patriarca chiedendogli di mandare Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnargli la lingua. Ma si sente rispondere da Abramo che nella vita, lui ha ricevuto i suoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora Lazzaro è consolato, lui invece è in mezzo ai tormenti. Occorre vivere il presente come l'oggi di Dio, sapendo che ci sarà il giudizio di Dio alla fine dei tempi, nel quale l'Onnipotente ci chiamerà a rendere conto del nostro comportamento e «renderà a ciascuno secondo le sue opere». Ma il ricco insiste, pregando Abramo di inviare Lazzaro ad avvertire i suoi fratelli di cambiare vita, ammonendoli «severamente» su ciò che li attende dopo la morte. Si sente però rispondere che hanno Mosè e i Profeti e devono ascoltarli. Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti. La fede si fonda sull'ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento. Il ricco è condannato perché indifferente e chiuso agli altri, egoista. Le persone che non amano, non hanno carità, le istituzioni che non sono al servizio dei cittadini e del bene comune, davanti a Dio, sono come inesistenti.
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PAROLA DELLA SETTIMANA : TERZA SETTIMANA DI SETTEMBRE 2022
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Inviato da Alba il 17/9/2022 8:40:00 (240 letture) |
Vi è prima una parabola e poi una serie di ammonimenti che commentano un elemento della parabola stessa e cioè l'uso del denaro. La parabola, come è ovvio, non loda il fattore perché è disonesto, ma perché ha la chiarezza e la decisione di imboccare l'unica via di salvezza che gli si prospetta. Si sa che l'arte di cavarsela è molto applicata nelle ambigue imprese di questo mondo. Lo è molto meno nella grande impresa della salvezza eterna. Perciò Gesù ci rimprovera di essere più pronti a salvarci dai mali mondani che dal male eterno, lui che da parte sua ha fatto di tutto perché fossimo salvati, fino a salire in croce per noi. Non ci decidiamo a credere che, se non portiamo il nostro peccato davanti a Dio, siamo perduti. Cominciamo le nostre Messe confessando i peccati che abbiamo commessi, ma usciti di chiesa ricominciamo a parlare di quelli altrui. Ci troviamo di fronte ad un brano del Vangelo che sembra sconcertante, in quanto Gesù loda la sagacia di un tale che, a prima vista, sembra un furbetto infedele al suo padrone. C'è poi il padrone che sicuramente doveva essere grande proprietario terriero che non si occupava della gestione ordinaria delle sue proprietà, e aveva lasciato a un uomo di sua fiducia la responsabilità di gestirle. Qualcuno andò dal padrone accusando l'amministratore di sperperare i suoi averi. Il padrone, da parte sua, convocò immediatamente l'amministratore per chiedergli il rendiconto. Il furbo amministratore andò chiamando i debitori e propose loro di cambiare la ricevuta dove era annotato l'ammontare del debito. In base a quanto stabilito nel libro dell'Esodo: "Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse". L'amministratore propone loro di scrivere nelle nuove ricevute soltanto l'ammontare che avevano ricevuto in prestito, senza gli interessi. In questo modo l'amministratore infedele si costituisce un gruppo di amici, ai quali ha fatto delle concessioni ed agevolazioni, ma sui beni altrui e non sui suoi. Gesù dà per scontato che non merita lode tutto il suo comportamento, ma lo indica come modello d'intelligenza e di sagacia nella gestione di situazioni complicate, in un ambiente corrotto. Insegna così ai suoi ascoltatori che, per arrivare nelle "dimore eterne", alla gloria del cielo, quando si vive nel mondo reale, spesso ingiusto, occorre prudenza, astuzia, e agire con rettitudine.
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PAROLA DELLA SETTIMANA : SECONDA SETTIMANA DI SETTEMBRE 2022
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Inviato da Alba il 10/9/2022 8:00:00 (244 letture) |
Si avvicinarono a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro. Allora Gesù disse loro le tre parabole dei perduti ritrovati. Tra tutte le parabole sono indubbiamente le più sconvolgenti perché ci insegnano anzitutto che Dio si interessa di ciò che è perduto e che prova grande gioia per il ritrovamento di ciò che è perduto. Inoltre Dio affronta le critiche per stare dalla parte del perduto: il padre affronta l'ira del figlio maggiore con amore, con pace, senza scusarsi. Gesù affronta le critiche fino a farsi calunniare, critiche che si riproducono continuamente e quasi infallibilmente. Perché tutte le volte che la Chiesa ripropone l'immagine di Dio che cerca i perduti, nasce il disagio. E ancora, Dio si interessa anche di un solo perduto. Le parabole della pecorella perduta e della donna che fatica tanto per una sola dramma perduta, hanno del paradossale per indicare il mistero di Dio che si interessa anche di uno solo perduto, insignificante, privo di valore, da cui non c'è niente di buono da ricavare. Ciò non significa evidentemente che dobbiamo trascurare i tanti, però è un'immagine dell'amore del Signore. Per questo l'etica cristiana arriva a vertici molto esigenti, che non sempre comprendiamo perché non riusciamo a farci un'idea precisa della dignità assoluta dell'uomo in ogni fase e condizione della sua vita. Nella Parola di Dio di questa domenica emerge la gioia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo per la nostra conversione. Leggiamo: «Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione». Alla fine della seconda parabola, quella della moneta ritrovata, abbiamo ascoltato: «Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Nella parabola del padre misericordioso la gioia è descritta con la festa del banchetto, con il vitello grasso ammazzato, i canti e le danze. Conversione è riconoscere innanzitutto l'iniziativa divina a favore della nostra povertà. Gesù portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia. La nuova ed eterna alleanza, realizzata una volta per tutte dal Padre con l'umanità intera, mediante la risurrezione del Figlio, consiste nel dono dello Spirito Santo, effuso nei nostri cuori.
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PAROLA DELLA SETTIMANA : PRIMA SETTIMANA DI SETTEMBRE 2022
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Inviato da Alba il 3/9/2022 11:00:00 (284 letture) |
Voler essere discepoli del Cristo significa avere scelto e deciso di seguirlo, significa avere scelto Cristo come unico punto di riferimento della nostra vita. Lo seguiamo perché Lo amiamo e perché abbiamo fondato su di Lui, e solo su di Lui, il nostro progetto di vita. Vivremo, nonostante tutto, infedeltà ed errori quotidiani, ma non saranno questi a troncare la nostra sequela se sapremo accettarli e viverli come limite e quindi come parte della croce che ogni giorno ci è chiesto di portare. Una croce fatta di grandi e piccole sofferenze e miserie, ma è proprio l'adesione alla "nostra" croce la via per divenire e rimanere suoi discepoli. La Chiesa, oggi e sempre, è costruita da chi ha il coraggio di affidarsi soltanto a Dio e seguire Gesù con totale abbandono e senza nessun compromesso. Gesù parla alla folla che lo segue, ma a differenza dei tanti demagoghi di ogni tempo, pronti a promettere anche la luna pur di trovare seguaci, egli non nasconde le difficoltà che comporta l'essere suoi amici. Nel Vangelo di oggi Luca dice: "Chi vuol essere mio discepolo, deve amarmi più di quanto ami il padre, la madre, la moglie, i figli e persino se stesso; chi vuol essere mio discepolo, porti la sua croce dietro di me". Sembrano parole per scoraggiare quanti andavano dietro a Gesù. Occorre mettere sempre Lui al primo posto. Del resto, essere cristiani è una scelta, non un obbligo, e come tutte le scelte va compiuta dopo averci ragionato. Lo stesso Gesù invita a farlo. Chi vuole dirsi cristiano deve essere consapevole di che cosa comporta, deve valutare come si configurerebbe la sua vita, presente e futura, con o senza di lui. Senza di lui, tutto appare più facile e comodo: vivo come mi pare, cercando i piaceri che ne posso trarre, avvalendomi di quanto dispongo e servendomi degli altri per realizzare i miei intendimenti. Se poi gli altri ne patiscono, a me non importa. Ma la realtà è diversa: la mia presunta libertà mi lascia spesso insoddisfatto. Con Gesù, invece, devo rinunciare a tante cose, devo farmi carico di chi mi sta intorno per dargli attenzione e aiuto; ma alla sera non fatico a prender sonno, perché non ho nulla di cui vergognarmi, so di avere speso la mia giornata al meglio delle mie possibilità, so che sto dando alla mia vita un senso e uno scopo, di cui un giorno raccoglierò pienamente i frutti. Il Vangelo non invita alle rivoluzioni armate: è più efficace e duraturo esortare tutti a vivere come il Signore insegna.
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