Non era presente, Tommaso, in quella sera piena di meraviglia. Non era con gli altri quando il loro Maestro era apparso dal nulla, mentre ancora, stupiti, commentavano il racconto dei due di Emmaus. Ma non si era lasciato prendere dall'entusiasmo, Tommaso, una volta tornato nella stanza al piano superiore. Non aveva creduto alle loro parole, non al Risorto. Non ha creduto ai suoi compagni. Troppo incoerenti, troppo deboli, troppo fragili. Come noi, poco credibili. Assolutamente poco credibili. Tommaso non crede ai suoi amici perché, onestamente, non sono credibili. Ma resta. Non fugge. Rimane. E fa bene, perché viene il Signore. Apposta per lui. Mostra le sue ferite e invita Tommaso a fare esperienza, a fare memoria, a guardare la concretezza, lo spessore della fede. Lo invita a tornare ai piedi di quella croce che ha denudato Dio, che ne ha svelato la potente forza d'amore. Deve immergersi in quella passione, non fuggirla. Deve andare oltre i segni dei chiodi e la ferita del costato, deve andare dentro, oltre, a fondo. Per coglierne la portata assoluta e devastante. Per attraversare il dolore, per superarlo. Ecco allora che Tommaso crede. L'incredulo diventa il più grande fra i credenti, il primo ad usare quel termine assoluto, Dio, riferito a Gesù. Sì, Gesù è Dio. E noi? Saremo beati se, crederemo pur non avendo visto , facciamo perciò nostra questa beatitudine, manifestando la nostra fede nel Risorto.
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