Nelle Scritture, la montagna è sempre il luogo della rivelazione. Sono gli uomini come Mosè ed Elia che Dio incontra. Si racconta anche che il volto di Mosè venne trasfigurato da quell'incontro: "Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore". La magnificenza della rivelazione divina si comunica anche a coloro che la ricevono e diventano i mediatori della Parola di Dio. Gesù si mette a brillare come il sole sotto gli occhi di tre discepoli: questo lo individua come Colui che è l'ultimo a rivelare Dio, come Colui che oltrepassa tutti i suoi predecessori. Ciò è sottolineato ancor più dal fatto che Mosè ed Elia appaiono e si intrattengono con Lui. Essi rappresentano la legge e i profeti, cioè la rivelazione divina prima di Gesù. Gesù è l'ultima manifestazione di Dio. È quello che dimostra la nube luminosa da dove una voce designa Gesù come il servitore regale di Dio. A ciò si aggiunge l'esortazione ad ascoltare Gesù, ad ascoltare soprattutto il Suo insegnamento morale. Solo chi ha fatto esperienza della luce non si rassegna al buio e alle tenebre. E provo ad immaginare il Maestro alle battute finali del suo cammino, mentre, dopo l'accoglienza entusiastica che ha caratterizzato l'inizio della missione in Galilea, adesso la Sua Parola e i suoi gesti stanno procurando diffidenza, ostilità e rifiuto. Gesù inizia ad annunciare ciò che Lo attende a Gerusalemme. I suoi non Lo comprendono e vorrebbero addirittura ostacolarlo "per il suo bene". I capi del popolo cercano solo l'ennesimo pretesto per farLo fuori. Gesù sale sul monte, come già tante volte aveva fatto, per cercare la relazione con il Padre. Porta con sé tre dei suoi, perché vedano e siano testimoni di quella meta luminosa che è la Pasqua, e conservino nel cuore un po' di quella luce per quando ce ne sarà bisogno. Gesù, pur con tutta la fatica di ogni uomo, si getta tra le braccia del Padre, perché sa che mai Lo lascerà cadere, persino quando le apparenze diranno l'esatto contrario. E poi quella luce abbagliante, da togliere il fiato, che dialoga con la luce che Gesù ha dentro e che abbiamo anche noi. Certo, non c'è niente di più fragile di questa piccola luce che ciascuno si porta dentro. Ecco cosa è stato per i discepoli lo spettacolo della trasfigurazione: un anticipo circoscritto nel tempo e nello spazio della luce e della bellezza che è Dio. E quando ci torneranno con la memoria dopo gli eventi della Pasqua, riconosceranno che la luce, per quanto custodita nella fragilità della propria carne ferita, è più forte di ogni notte, anche la più nera, e splenderà sempre, tra le tenebre. Ecco perché non abbiamo da temere: il nostro è il Dio che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita.
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