È un male molto diffuso tra i credenti quello di considerare la fede come un atteggiamento puramente intellettuale, come la semplice accettazione di alcune verità. Cioè una fede che si traduce in una presa di posizione teorica, senza una vera incidenza sulla vita. Questo squilibrio ha come conseguenza l'esitazione davanti alle difficoltà che incontriamo ogni giorno e che sono sovente insormontabili, se noi non siamo abbastanza radicati in Dio. Le due brevi parabole del testo evangelico ricordano due proprietà della fede: l'intensità e la gratuità. Per mettere in rilievo il valore di una fede minima, ma solida, Cristo insiste sugli effetti che può produrre: cambiare di posto anche all'albero più profondamente radicato. Per insistere sulla fede come dono di Dio, porta l'esempio del servitore che pone il servizio del suo amore prima di provvedere ai suoi propri bisogni. Questo brano del Vangelo si apre con una domanda degli apostoli rivolta a Gesù: «Signore, accresci in noi la fede!». La fede è un dono di Dio per chi si apre al suo Amore, rispondendo alla sua chiamata e fidandosi delle sue promesse: della fede non si è padroni né la si può imporre agli altri, ma la si può solo accogliere con gratitudine, ben sapendo che «la fede non è di tutti». Avere fede significa aderire con tutti se stessi a Dio che ci ha amati per primo, ascoltare la «sua voce e non indurire il nostro cuore», avere una fiducia salda in Lui che non viene meno di fronte alle difficoltà anche le più grandi e di fronte alle incomprensioni più dolorose. Più volte Gesù si rivolge ad alcune persone dicendo: «La tua fede ti ha salvato!». Sforziamoci di vivere come Gesù ha vissuto.
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