La Chiesa, Madre e Maestra, suggerisce alla nostra meditazione in questo tempo quaresimale la parabola del "fariseo e del pubblicano". Non lasciamoci sfiorare dalla tentazione dell'orgoglio, cioè di sentirci migliori degli altri. Nella preghiera del fariseo egli nomina Dio solo all'inizio, perché poi Dio scompare subito per lasciare spazio esclusivamente al suo io ingombrante che occupa tutta la sua pseudo-preghiera. Il pubblicano tutto al contrario: fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto e fece una preghiera brevissima: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». La parabola ci fa conoscere alla fine il giudizio di Dio: il fariseo, che rendeva grazie per la propria giustizia, ritorna a casa non giustificato, mentre il pubblicano, che si era riconosciuto peccatore, torna a casa giustificato. Impariamo a fare con tutto il cuore la preghiera del pubblicano. Abituiamoci anche a pregare Gesù per i nostri fratelli, perché ottengano l'aiuto di Dio per vivere da bravi cristiani e siano protetti dalle malattie e dalle guerre.
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