Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. Ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. Diceva loro che quando entravano in una casa dovevano rimanervi finché non fossero partiti di là. Se in qualche luogo non li avessero accolti e non li avessero ascoltati, avrebbero dovuto andarsene e scuotere la polvere sotto i loro piedi come testimonianza contro di loro. Essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. La missione profetica è tutt'altro che facile, ma diventa molto sostenibile e ricca di frutti quando ci si convince che essa non procede dalla nostra iniziativa, sia pure lodevole e mirata, ma che è sempre Dio a eleggere e a inviare i suoi emissari. Nessuno intraprende un incarico missionario senza obiettare all'inizio di non esserne all'altezza o almeno senza domandarsi se riuscirà a realizzare quanto gli viene chiesto. Dio agisce liberamente nella sua elezione e nella sua vocazione, prendendo le distanze dai nostri giudizi e dai nostri parametri di scelta. E soprattutto è lui a fornire i mezzi adeguati allo svolgimento di una determinata missione perché non lascia nessuno sprovvisto e impreparato. I discepoli di Gesù prendono sul serio il loro mandato, non possono che assumerlo dopo essersi immedesimati in esso e devono trovare solo in Dio la motivazione per perseverarvi nonostante le difficoltà. La missione del ministro non è mai fallimentare, anche quando sembra che i risultati del suo impegno tardino ad arrivare. Il suo lavoro arrecherà frutti, anche se a raccoglierli saranno altri. Ecco perché il latore di divini messaggi non deve demordere dal suo impegno, non deve scoraggiarsi e deve essere deciso a seguire la chiamata del Signore.
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